La Fenice, l’uccello che rinasce dalle sue stesse ceneri, è parecchio popolare in Occidente e l’origine del suo mito è egiziana e si crede derivi dall’anima del dio del Sole Ra.
Ma che animale è questa Fenice? Non è facile descriverla, certamente ha tratti d’uccello talvolta con somiglianze con le aquile, con gli aironi, con cigni e pavoni. Mentre per gli egizi somigliava ad un passero, per i greci essa era un’aquila reale dalle piume porpora e oro e la coda azzurra. Notoriamente solitaria era conosciuta per essere in grado di vincere l’oscurità risorgendo dalle acque (per gli egiziani) o dalle fiamme, secondo (per i greci e i latini).
La leggenda narra che si stata creata dal fuoco sacro che ardeva sul salice di Eliopoli. Ne esisterebbe un solo esemplare per volta che, come il sole, muore e risorge. La sua casa era un’oasi nel deserto arabico, in cui viveva nascosta da tutti. Di tanto in tanto, poi, si recava a Eliopoli, città del Sole, posandosi in cima all’obelisco del santuario.
Rialzarsi da un evento traumatico
Viktor Frankl, fondatore della logoterapia, sopravvissuto ai campi di concentramento, ha spiegato in molti dei suoi libri come un’esperienza traumatica sia sempre negativa e le reazioni alla stessa siano strettamente connesse alla persona che le vive. Spetta a noi scegliere di rialzarci “risorgendo dalle ceneri” come la fenice oppure se abbatterci…
Questa capacità di rinascita è ammirevole quanto ritrovare la forza di andare avanti e sormontare le nostre sventure e i cocci rotti dentro alla nostra anima quando attraversiamo un periodo davvero buio come ad esempio la morte di un nostro caro con tutto ciò che ne consegue, in primis il dolore ma anche il disbrigo delle pratiche, il funerale, la scelta delle onoranze funebri adatte, come ad esempio la Cattolica san Lorenzo che ci aiuterà a decidere tra la cremazione a Roma o la tumulazione e molto altro. Quando si affronta un momento così traumatico, “moriamo un po’” anche noi.
Infatti, Carl Gustav Jung, fondatore della psicologia analitica, stabilisce qui le nostre similitudini con la fenice: anche se questa creatura muore, ella stessa consente che si verifichino le condizioni utili per la morte, in quanto sa che dai suoi resti ne risorgerà una versione molto più forte.
Il “nido” della fenice e la resilienza
La fenice costruisce il suo nido con i più ricchi materiali della terra ma allo stesso tempo cerca i più delicati e resistenti che la possano aiutare nella sua trasformazione. Pensandoci, questo processo è simile a quello che forma la resilienza nell’uomo. Anche noi andiamo alla ricerca degli elementi con i quali costruirci un nido resistente per raccogliere le nostre forze. Il nostro nido è fatto di autostima, motivazione, dignità, sogni e amor proprio tutto per il nostro benessere interiore. Tutto ciò ci aiuterà nella trasformazione ma non prima di assumere la consapevolezza che ci sarà una fine e una parte di noi se ne andrà, trasformandosi in cenere, le ceneri del nostro passato.
Queste ceneri, infatti, non verranno portate via ma faranno parte di noi per creare una persona che rinasce molto più forte di ciò che lo ha reso cenere.